La Due giorni si è aperta sabato 14 settembre alle ore 9.30, dopo la presentazione del programma (ore 9.15), con l’intervento di padre Marcello Finazzi, passionista, sul tema «Io sono una missione».
A partire dal Vangelo e dall’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, padre Marcello Finazzi ha sottolineato che la chiamata di ciascuno a partecipare alla Missione di Gesù trova il suo punto di partenza nell’incontro personale di Gesù che ci salva e trova compimento nella comunità.
La prima motivazione per evangelizzare è l’amore di Gesù di cui abbiamo fatto esperienza e che ci spinge ad amarlo sempre di più. Però che amore è quello che non sente la necessità di parlare della persona amata, di farla conoscere? Se non proviamo l’intenso desiderio di comunicarlo, abbiamo bisogno di soffermarci in preghiera per chiedere a Lui che torni ad affascinarci. Dobbiamo meditare la Parola di Dio, contemplare Gesù e lasciare che Lui ci contempli. Il vero discepolo si fa mendicante di Gesù, lascia che Gesù lo contempli, perché Gesù ha “nostalgia” di me, mi cerca, mi desidera.
La missione è una passione per Gesù ma, al contempo, è una passione per il Suo popolo. Lui vuole servirsi di noi per arrivare sempre più vicino al Suo popolo amato. Ci prende in mezzo al popolo e ci invia al popolo. E Gesù stesso è il modello della missione di ciascuno che ci introduce nel cuore del popolo: se parla con qualcuno, guarda i suoi occhi con una profonda attenzione piena d’amore “Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò” (Mc 10,21), è aperto all’incontro quando si avvicina al cieco lungo la strada (Mc 10, 46-52), quando mangia e beve con i peccatori (Mc 2, 16), lo vediamo disponibile quando lascia che una prostituta unga i suoi piedi (Lc 7, 36-50), quando riceve di notte Nicodemo (Gv 3, 1-15).
Affascinati da tale modello, vogliamo inserirci a fondo nella società, condividiamo la vita di tutti, ascoltiamo le loro preoccupazioni, collaboriamo materialmente e dialogando da amico ad amico. Ma non come un obbligo, bensì come una scelta personale che ci riempie di gioia e ci conferisce identità.
A volte sentiamo la tentazione di essere cristiani mantenendo una prudente distanza dalle piaghe del Signore, ma Gesù vuole che tocchiamo la miseria umana, che tocchiamo la carne sofferente degli altri, riscoprendo la forza della tenerezza.Quando lo facciamo, la vita “ci si complica” sempre meravigliosamente e viviamo l’intensa esperienza di essere popolo. L’amore per la gente è una forza spirituale che favorisce l’incontro in pienezza con Dio fino al punto che chi non ama il fratello “cammina nelle tenebre” (1 Gv, 2,11).
Un missionario pienamente dedito al suo lavoro sperimenta il piacere di essere una sorgente, che tracima e rinfresca gli altri. Può essere missionario solo chi si sente bene nel cercare il bene del prossimo, chi desidera la felicità degli altri. Questa apertura del cuore è fonte di felicità, perché “si è più beati nel dare che nel ricevere” (At 20, 35).